La moderna struttura del mercato e degli scambi commerciali consente agli operatori economici, sempre più spesso, di realizzare pratiche concorrenziali che influiscono e ledono l’attività economica dei loro competitor.
Al sussistere di determinati presupposti, tali condotte possono configurare dei veri e propri atti di concorrenza sleale, i quali sono considerati radicalmente contrari al principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione.
Nella panoramica delle dinamiche concorrenziali, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato riveste, dunque, un ruolo centrale in virtù dei doveri e poteri ad essa riconosciuti.
In tale ottica, è estremamente interessante analizzare l’ordinanza del Tribunale di Napoli Nord, la quale ha avuto una particolare risonanza nel mercato italiano poiché ha introdotto un’analisi fondamentale sul bilanciamento degli interessi imprenditore – consumatore.
Durante il periodo dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, a seguito del caro prezzi sui generi alimentari e prodotti detergenti, l’Antitrust ha aperto, a carico delle società appartenenti al gruppo della Grande Distribuzione Organizzata, un’indagine per verificare eventuali illeciti e sfruttamenti della situazione.
A tal fine sono stati coinvolti più di 3.800 punti vendita in tutta Italia.
La reazione più forte al provvedimento sanzionatorio si è avuta dal gruppo Sigma che ha trasmesso, a sua volta, una lettera di diffida all’Antitrust dichiarando la propria totale estraneità ai fatti di cui è stata accusata: “E’ giusto e corretto che l’Autorità Antitrust avvii, qualora ve ne siano gli estremi, indagini volte ad identificare pratiche commerciali scorrette. Quello che non è accettabile è che nella comunicazione della stessa Autorità relativa all’indagine che coinvolge 3.800 punti vendita si citino solo alcuni degli attori ma non i principali e alcune piattaforme di distribuzione – tra le quali la nostra – ma non le principali” ha commentato Francesco Del Prete, amministratore delegato della società.
Continuando “Tale pratica non solo è gravemente lesiva della nostra reputazione ma appare in netto contrasto con le scelte di comunicazione adottate in occasione di altre indagini quale ad esempio quella nel settore della vendita di prodotti igienizzanti e di mascherine del 27 febbraio scorso ove nessun destinatario della stessa è citato. Il comunicato emesso dall’Antitrust costituisce un comportamento contrario ai principi di imparzialità e correttezza professionale ai quali dovrebbe ispirarsi l’Autorità.”
Il gruppo Sigma ha poi proposto domanda cautelare al Tribunale di Napoli Nord, avverso la comunicazione rilasciata dall’Antitrust, rappresentando il gravissimo danno arrecato all’immagine aziendale.
Il Tribunale di Napoli Nord, a seguito della sua attività di indagine e sulla base delle esposte considerazioni, ha concluso giudicando “diffamatoria” la comunicazione rilasciata dall’Autorità e ha depositato un’ordinanza con la quale ha condannato, in via cautelare, quest’ultima all’immediata rettifica del comunicato oggetto della vicenda e invitato, al contempo, la stessa Autorità ad osservare la legge quando, come nel caso di specie, si tratta di reputazione professionale e commerciale di operatori economici sani e corretti.
Il Tribunale ha, inoltre, condannato l’Antitrust al pagamento delle spese processuali.
In effetti è assai raro che un tribunale si pronunci a favore dell’imprenditore piuttosto che dell’Autorità poiché quest’ultima rappresenta un’alternativa concreta ai soliti rimedi codicistici previsti per la tutela del consumatore.
Soprattutto negli ultimi anni, infatti, il legislatore moderno ha voluto fornire ulteriori strumenti a quest’ultima al fine di favorire interventi autonomi e diretti a reprimere le pratiche commerciali che risultano lesive dei diritti riconosciuti dal Codice del Consumo (in particolare artt. 18 -27). Ad oggi, dunque, i poteri dell’Antitrust sono in primo luogo “istruttori”, stante la possibilità di proporre autonomamente indagini a carico degli operatori economici e delle associazioni di categoria, nonché di inviare diffide, e, in caso di anomalia rilevata nel corso dell’istruttoria, di applicazione di misure “repressive” proprie secondo le modalità stabilite dagli artt. 15 e ss. della legge n. 287/1990.
Lo status di autorità indipendente ha destato inizialmente notevoli resistenze nell’opinione di quelli che vedevano affidata ad una pubblica amministrazione un potere tanto ampio. Col tempo, però, la dottrina maggioritaria si è convinta che una tale attribuzione trova giustificazione nella tutela del bene giuridico della concorrenza: ciò perché il consumatore è da considerarsi quale protagonista fondamentale del mercato moderno ed ha il diritto di scegliere in maniera consapevole e ordinata i prodotti da acquistare sul mercato; tale condizione, che presuppone la possibilità di liberamente scegliere i migliori prodotti, è invero essenziale per sfruttare al massimo le potenzialità di mercato alimentando, di conseguenza, una buona concorrenza tra le imprese del settore di riferimento.
Le modalità di sanzione sono state chiarite dalla stessa Autorità con delibera 22 ottobre 2014 n. 25152 (Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90): l’importo di base della sanzione si ottiene moltiplicando una percentuale del valore delle vendite, determinata in funzione del livello di gravità dell’infrazione, alla durata della partecipazione di ciascuna impresa all’infrazione. In alcune circostanze, di seguito specificate, l’Autorità potrà considerare opportuno l’inserimento nell’importo di base di un ammontare supplementare (entry free). Nella determinazione dell’importo di base della sanzione, l’Autorità utilizzerà cifre arrotondate.
Tale somma deve avere sostanzialmente carattere deterrente e, pertanto, non deve mai essere inferiore ai vantaggi che l’imprenditore ha ricavato dalla stessa violazione.
L’entry free, inoltre, deve comprendersi tra il 15% ed il 25% del valore delle vendite e dei servizi oggetto dell’infrazione. L’importo può altresì essere aumentato o attenuato al ricorrere di circostanze da considerarsi aggravanti o attenuanti.
Se l’importo complessivo, determinato in virtù di tutte le circostanze che caratterizzando l’illecito, supera il massimo edittale stabilito dall’art. 15, comma 1, l.n. 287/1990, questo è ridotto nella misura eccedente tale limite.
Il calcolo di massimo edittale si determina, generalmente, nel rispetto del fatturato totale realizzato a livello mondiale nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, da parte di ciascun’impresa che ha partecipato alla violazione.
Se, invece, si tratta di attività poste in danno del consumatore, le sanzioni possono arrivare sino ad un massimo di 5.000.000,00 euro.
Qualora l’AGCM ritenga, invece, che vi siano situazioni di particolare necessità ed urgenza, ha la possibilità di emettere anche provvedimenti cautelari inaudita altera parte purché questi siano volti alla tutela di interessi generali.
Tuttavia, anche le attività dell’AGCM dovranno tener conto dei diritti e degli interessi di tutti i soggetti coinvolti e sarà pertanto interessante verificare come la pronuncia indicata influirà sulle indagini future dell’Autorità.
Avv. Teresa Marullo