In una recente ed interessante ordinanza, la Suprema Corte di Cassazione ha sancito due importanti principi di diritto in ambito immobiliare e, in particolare, delle locazioni.
La decisione in commento, la n. 194 del 5 gennaio 2023, trae origine da un giudizio di intimazione di sfratto per morosità, all’esito del quale il Tribunale di Bari, con sentenza n. 1105 del 13 marzo 2019, aveva i) condannato il conduttore al rilascio dell’immobile, con contestuale pagamento di tutti i canoni insoluti nei confronti dei locatori; ii) rigettato la domanda proposta dagli stessi volta ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante e, infine, iii) accolto la richiesta del conduttore a vedersi restituito quanto versato, a suo tempo, a titolo di deposito cauzionale.
Come ormai da prassi, il deposito cauzionale viene consegnato, sotto forma di somma di denaro, dal conduttore al locatore al momento della stipulazione del contratto, al fine di garantire la proprietà da eventuali inadempimenti del conduttore e, di regola, viene restituito al momento del rilascio dell’immobile, a meno che il rapporto contrattuale tra le parti non si sia concluso con qualche pretesa risarcitoria da parte del locatore nei confronti del conduttore.
Se questa è la prassi, in giudizio la sua funzione non era così chiara.
Il danno da lucro cessante, invece, si concretizza “nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale”, vale a dire nel mancato guadagno patrimoniale provocato dall’inadempimento, che il creditore avrebbe dovuto conseguire – e che, invece, non ha conseguito – se la controparte avesse correttamente adempiuto alla propria obbligazione.
In virtù di quanto sopra precisato, i locatori del giudizio in commento presentavano appello avverso la sentenza del Tribunale, all’esito del quale, la Corte di Appello di Bari, confermava la condanna che li obbligava alla restituzione del deposito, sul presupposto che l’immobile non avesse subito danni, riconoscendo loro, invece, sebbene in misura inferiore rispetto a quanto richiesto, “il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante, consistito nel fatto che l’immobile non venne concesso in locazione a terzi, nonostante il fatto che i proprietari si fossero attivati per locarlo a terzi”.
La Corte di Appello, in particolare, negava che l’entità del risarcimento potesse essere rapportata “all’intero importo dei canoni dovuti fino alla scadenza naturale del contratto”, liquidando, conseguentemente, il danno in una misura pari “all’ammontare del canone di locazione per il periodo minimo di preavviso di recesso”.
Successivamente, i locatori decidevano di proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello n. 1795 del 19 ottobre 2021, contestando la condanna alla restituzione del deposito cauzionale e censurando la decisione del giudice di secondo grado di circoscrivere l’entità del danno da lucro cessante, assumendo “che al locatore spettino, invece, per intero e non in misura parziale, i canoni non riscuotibili, fino al termine del rapporto locativo”.
Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i motivi del ricorso fondati, affermando, con riferimento al primo, che:
– la Corte di Appello di Bari avrebbe dovuto prendere in considerazione il principio secondo cui “la funzione del deposito cauzionale, nel contratto di locazione, è di garantire il locatore per l’adempimento di tutti gli obblighi, legali e convenzionali, gravanti sul conduttore, a cominciare da quello di pagamento dei canoni, neppure escluso quello di recedere dal contratto dando il dovuto preavviso”, rappresentando, tale istituto, una forma di garanzia per il locatore dell’eventuale obbligazione di risarcimento del danno;
e che, per l’effetto
– sarebbe errato correlare l’effetto restitutorio del deposito cauzionale al solo adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 1590 c.c., comma 1, con la conseguenza che lo stesso locatore potrà “sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito”, che sorge con il termine del rapporto, “a condizione di proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, dello stesso a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati”.
Con riferimento al secondo motivo, invece, gli ermellini ribadiscono come “in caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore”, spetti al locatore non inadempiente “il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute”, detraendo l’utile ricavato o quello che avrebbe potuto ricavare dall’immobile, in seguito alla risoluzione anticipata del contratto, usando l’ordinaria diligenza.
La Suprema Corte statuisce, pertanto, che il danno da lucro cessante da risarcire non può che essere rappresentato dall’ammontare dei canoni dovuti per la durata ulteriore della locazione, sciolta per inadempimento, “senza che si possa prendere in considerazione la ripresa disponibilità della cosa, perché questa, finché non viene locata di nuovo, per il soggetto che aveva scelto di ricavare dal bene un reddito locatizio, non può rappresentare […] un effettivo e reale vantaggio a quello paragonabile”.
Alla luce delle considerazioni elaborate dalla Corte di Cassazione, in conclusione, è possibile confermare che il locatore potrà “sottrarsi all’obbligo di restituzione del deposito cauzionale, attraverso apposita domanda giudiziale, per l’attribuzione dello stesso, a copertura di specifici danni subiti, di qualsiasi natura, e non solo di quelli subiti dalla res locata, ovvero degli importi rimasti insoluti” e che, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, avrà il diritto “di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l’utile ricavato o che, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto ricavare dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto”.
A nostro avviso, le conclusioni della Cassazione sono condivisibili oltre che attese.
Riteniamo, infatti, che sia stato messo ordine nell’ambito di due istituti controversi soprattutto se calati nella materia locatizia ed auspichiamo che i giudici di prime cure vogliano adeguarsi all’orientamento qui commentato.
Dott.ssa Alessandra Mazzocchi
Avv. Marta Cobianchi
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