Prima di focalizzare l’attenzione sul quesito oggetto della presente nota, ritenuto rilevante nell’ambito di un procedimento di reclamo ad oggi pendente ed azionato dallo Studio, rammentiamo, a beneficio di chi legge, la funzione del Comitato dei Creditori sub procedura fallimentare.

A seguito della riforma del 2006, il ruolo di tale organo è diventato sempre più essenziale, tanto da esercitare, ad oggi, funzioni di vigilanza sull’operato del Curatore, consultive nell’ipotesi di revoca di quest’ultimo, di controllo in relazione alla gestione della procedura, nonché autorizzative nell’ipotesi di esercizio dei poteri attribuiti al professionista incaricato.

Dalla necessaria presenza del Comitato discende la necessaria autonomia del potere di nomina dei relativi componenti, il quale non può essere collegato ad un’eventuale preventiva manifestazione di disponibilità da parte dei creditori della società fallita (oggi “liquidazione giudiziale”).

Tale autonomia emerge, in particolare, dal combinato disposto degli articoli 40 e 37 bis L.F., i quali, nel disciplinare il procedimento di formazione e di sostituzione dei componenti del Comitato dei Creditori, prevedono regole dirette, unicamente, ad assicurare il massimo equilibrio tra gli interessi “diversi” dei creditori coinvolti: l’articolo 40, infatti, impone al G.D. di nominare, sulla base delle sole risultanze documentali, i creditori che possano rappresentare in maniera equilibrata i diversi crediti, mentre l’articolo 37 bis, attribuisce ai creditori che “rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi”, all’esito dell’adunanza per l’esame dello stato passivo e prima della dichiarazione di esecutività dello stesso, solo la possibilità di effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del Comitato, fermi comunque i requisiti di cui al precedente articolo 40 L.F.

È indubbio, pertanto, come non sia affatto rilevante il preventivo consenso dei creditori, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 40 L.F., nell’esercitare il potere di nomina dei componenti del Comitato, il Giudice Delegato è tenuto unicamente a “sentire” i creditori che, con la domanda di ammissione al passivo o precedentemente, abbiano dato la propria disponibilità ad assumere l’incarico.

Pare evidente come con il verbo “sentire” il legislatore abbia voluto escludere una vincolante incidenza della manifestazione di volontà positiva dei creditori del fallito sull’esercizio del potere del G.D., il quale, nella scelta dei componenti, è tenuto, unicamente, a consultare i creditori di cui alla predetta norma.

Sul tema, assume, altresì, rilievo la seconda parte dell’art. 40, comma 1, L.F., in virtù della quale il dovere dei creditori della società fallita di far parte del Comitato emergerebbe dal potere conferito al G.D. di modificare la composizione dell’organo in relazione alle variazioni dello stato passivo, potere il cui esercizio non è evidentemente collegato, in maniera vincolante, all’eventuale accettazione dell’incarico da parte del soggetto individuato.

In aggiunta, l’art. 37 bis L.F., nel disciplinare la “sostituzione dei componenti del Comitato dei Creditori”, precisa che “i creditori presenti […] che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi, possono effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del Comitato dei Creditori nel rispetto dei criteri di cui all’art. 40”.

Lo stesso termine “designazione” consente di affermare che i creditori della società fallita abbiano unicamente la facoltà di indicare al Giudice Delegato i titolari di diritto di credito, fra i quali eventualmente scegliere i componenti del Comitato, e non quella di limitare l’esercizio del menzionato potere, imponendo l’esclusiva nomina dei creditori che abbiano manifestato la volontà di prendervi parte.

In conclusione, a nostro avviso, la risposta al quesito in oggetto risulta, sulla base di quanto esposto, chiara ed evidente, non potendo il “consenso” dei creditori rappresentare una condizione indispensabile per la relativa nomina all’interno del Comitato dei Creditori.

Lo stesso articolo 40, comma quinto, L.F., lascia intendere quanto la partecipazione a tale organo collegiale costituisca un dovere giuridico per i creditori del fallito, tale da poterla addirittura qualificare come un munus publicum (funzione di pubblico interesse).

Consapevoli, tuttavia, dell’ampio dibattito dottrinale in merito, è auspicabile, sul punto, una pronuncia della Corte di Cassazione che, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, possa dare una risposta a tale quesito di diritto e fugare, così, ogni dubbio in merito alla corretta interpretazione della normativa applicabile.