Con il presente contributo verrà fornita una preliminare disamina del tema relativo alle trattative, alla loro rilevanza nella formazione del contratto ed alle loro ripercussioni nelle pratiche commerciali.
Nella prassi, le parti coinvolte in un’operazione decidono, spesso, di cristallizzare le proprie manifestazioni di volontà e le loro intenzioni di massima al fine di chiarire le rispettive posizioni.
Le suddette manifestazioni, intese come semplici espressioni di interesse, non implicano, in quei frangenti, alcun vincolo per le parti, le quali possono deciderne liberamente forma e contenuto: possono consistere in meri fatti, come telefonate, incontri e visite; oppure in veri e propri atti, come, minute, puntuazioni o lettere di intenti.
La loro natura non vincolante le differenzia con tutta evidenza dal contratto preliminare, in virtù del quale, le parti, com’è noto, si obbligano alla conclusione del successivo accordo definitivo.
Mediante la sottoscrizione della cosiddetta minuta o puntuazione, invece, i soggetti in parola verbalizzano i punti oggetto di reciproca intesa, ma con espressa riserva futura, conservando in tal modo la facoltà di svincolarsi dalle trattative.
Tale svincolo trova il proprio limite nella sola responsabilità precontrattuale prevista dall’articolo 1337 c.c.
Sebbene, infatti, gli atti riconducibili alle trattative non obblighino le parti alla conclusione del contratto, il legislatore italiano ha inteso regolarne i presupposti ricorrendo al principio della buona fede e prevedendo, nell’ipotesi in cui uno dei contraenti dovesse raggirare l’altro e porre in essere un comportamento sleale, il diritto per quest’ultimo di agire in giudizio.
In materia di responsabilità precontrattuale, infatti, il giudice è chiamato a valutare il comportamento che le parti hanno tenuto prima della fase precontrattuale vera e propria, durante le trattative ed, eventualmente, in seguito alla loro rottura, al di là delle puntuazioni formalmente indicate per iscritto, le quali, in realtà, sebbene non abbiano valore contrattuale, sono “certamente utili per valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al programma di conduzione delle trattative che è stato concordato” (Cass. Civ. del 22 giugno 2020 n. 12107).
Sulla base di quanto analizzato finora, dunque, le puntuazioni, così come descritte, non sarebbero vincolanti, fatta sempre salva la possibilità di incorrere in una responsabilità precontrattuale in caso di violazione del principio di buona fede che è, comunque, da provare.
Tuttavia, la giurisprudenza ha, negli anni, introdotto un’importante distinzione: così come affermato dalla Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 2204 del 30 gennaio 2020, all’interno del concetto di minuta, infatti, rientrano tanto i documenti che contengono intese parziali, indicazioni di massima, in ordine al futuro regolamento tra le parti (cd. puntuazione di clausole), quanto i documenti che predispongono con completezza e precisione un accordo negoziale in funzione preparatoria dello stesso, le cui determinazioni sono strettamente correlate le une con le altre (cd. puntuazione completa di clausole).
Mentre la prima ipotesi denota una presunzione iniziale di mancato accordo, la seconda, al contrario, integra una presunzione semplice di perfezionamento contrattuale, superabile dalla prova contraria dell’effettiva non volontà delle parti al raggiungimento dell’accordo.
In quest’ultimo caso, dunque, la parte – o il terzo – che abbia interesse a dimostrare l’assenza di un contratto concluso, ma, al più, l’esistenza di una semplice minuta o puntuazione, ha l’onere di superare la presunzione semplice di avvenuto perfezionamento del contratto fornendo la prova concreta dell’insussistenza della volontà delle parti all’accordo negoziale.
Nel caso in cui le parti, dunque, abbiano inteso considerare il contratto come definitivamente formato, la minuta o la puntuazione deve essere considerata come contratto perfetto.
Questa, infatti, ha valore probatorio di un contratto già perfezionato laddove contenga l’indicazione dei suoi elementi essenziali, senza che vi sia la necessità di regolamentare o meglio prevedere le rispettive obbligazioni, e risulti che le parti abbiano voluto vincolarsi definitivamente anche in base al loro comportamento successivo, sicché tale comportamento sia univoco e non consenta una diversa interpretazione.
Non si tratta di comportamenti di poco conto.
In tale ultimo caso, tuttavia, occorrerà, sulla base degli elementi complessivamente acquisiti, che la valutazione della vicenda contrattuale evidenzi gli estremi di un comportamento delle parti munito di univocità significativa, tale da non consentire una diversa interpretazione.
Concludendo: suggeriamo, al fine di mantenere le puntuazioni nell’alveo delle trattative senza correre il rischio che vengano qualificate come un accordo definitivamente formato, di accertarsi che dai documenti redatti, così come dai successivi comportamenti, traspaia tale volontà.
Dott.ssa Alessandra Mazzocchi