Un commento sugli effetti della sentenza cassazione civile, sez. I, sentenza 07/02/2017 n. 3190 sul termine di prescrizione decennale: decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto
Sembra non esserci pace per gli istituti di credito, i quali si trovano, ancora una volta, a dover fare i conti con una recente pronuncia della Corte di Cassazione in tema di anatocismo bancario, confermativa dell’orientamento già sancito dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010. I Giudici di legittimità, con sentenza n. 3190 del 7 febbraio 2017, hanno ribadito il principio di diritto in base al quale il termine di prescrizione decennale, cui soggiace l’azione di ripetizione di indebito promossa dal cliente nei confronti della banca, decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, e non dalla data della singola annotazione in conto degli interessi illegittimamente addebitati al correntista, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista.
Il nodo della natura dei versamenti
Corollario di tale ragionamento è la diversa natura, solutoria o ripristinatoria, dei versamenti eventualmente posti in essere dal correntista in costanza di rapporto, poichè, precisa la Corte, un pagamento per essere qualificato tale deve aver determinato un concreto spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens. Spostamento patrimoniale che, invece, non è ravvisabile quando la banca procede con mere annotazioni periodiche in conto degli interessi passivi, atteso che ad esse consegue solo un incremento del debito del correntista (nel caso di conto corrente cd. “scoperto”) oppure una riduzione del credito disponibile (nell’ipotesi di conto corrente cd. “affidato”), ma non un vero e proprio pagamento. Pertanto, ove in costanza di rapporto, il correntista abbia compiuto dei versamenti occorrerà distinguere se trattasi di pagamenti solutori, volti a sanare uno “scoperto” di conto corrente indipendentemente che sia o meno assistito da apertura di credito, o meri atti ripristinatori, tesi a reintegrare la provvista nei conti correnti oggetto di affidamento. La differenza rileva sotto il profilo del dies a quo del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’eventuale indebito, che decorrerà da ogni singolo pagamento nell’ipotesi di rimessa solutoria e dalla chiusura definitiva del rapporto nel caso di rimessa ripristinatoria. Va da sé che nell’ipotesi in cui il correntista, in costanza di rapporto, si sia limitato ad effettuare solo dei prelievi, il termine prescrizionale per la promozione dell’azione ex art. 2033 c.c. coinciderà gioco forza con il momento della chiusura del conto corrente.
Quando la banca deve restituire gli interessi
La conseguenza più rilevante che discende dall’esposto orientamento giurisprudenziale sta nella possibilità per il correntista di ottenere, all’esito di un’azione di ripetizione tempestivamente intrapresa, una sentenza che condanna la banca a restituire tutti gli interessi anatocistici illegittimamente percepiti fin dall’inizio del rapporto, senza che possa essere eccepita alcuna prescrizione. Ne discende che gli istituti di credito si trovano di fronte a una situazione di incertezza, restando esposti, per lungo tempo, al rischio di subire azioni restitutorie da parte dell’ormai ex cliente.