PARTE II. LA VESTE GIURIDICA
Una delle prime decisioni che gli startupper devono assumere quando si determinano a concretizzare il proprio progetto imprenditoriale riguarda la forma giuridica di cui dotarsi per l’esercizio della propria attività. Prima si procede alla formalizzazione dell’entità giuridica, meglio è. I benefici sono molteplici. Se si opta per una società di capitali, soluzione consigliabile, i founders potranno avvalersi da subito della limitazione della responsabilità personale, evitando così di mettere a rischio il proprio patrimonio, inoltre, avranno facoltà di distribuire il capitale sociale al valore nominale, approfittando in futuro dell’apprezzamento della società.
La scelta del modello ha rilevante importanza, in quanto da essa discendono una serie di conseguenze, principalmente a livello di governance e di trattamento fiscale. La decisione, inoltre, dovrebbe tenere in considerazione una serie di fattori: prospettiva di evoluzione del business, numero di soci e di partner economici e loro coinvolgimento nel progetto, attività esercitata dalla startup, tipologia e numero di investitori ai quali si è intenzionati a rivolgersi.
Adottare una forma giuridica sbagliata può avere conseguenze difficilmente reversibili e, comunque, a costi superiori rispetto ad una ponderata ed equilibrata valutazione iniziale.
Le tipologie tra le quali scegliere sono molteplici: dalla ditta individuale, alle società di persone a quelle di capitali. Ciascuna si caratterizza per alcune peculiarità, utili a soddisfare precipue esigenze.
Oltreoceano, la scelta maggiormente perseguita dagli startupper è quella di costituirsi come società per azioni, sia nella forma della S-Corporation o della C-Corporation. L’opzione è direttamente correlata alla necessità di rapida crescita che caratterizza il sistema statunitense: “go big or go home!”.
Per quanto concerne il luogo di incorporazione, che, come noto, determina il diritto applicabile, il Delaware è la preferenza più gettonata. La ragione è dovuta all’esistenza, nello stato della East Coast, di un consolidato corpus di norme di diritto commerciale, ritenuto il più evoluto e flessibile esistente in tutti gli USA. A ciò si affianca una magistratura altamente specializzata, che costituisce una garanzia imprescindibile per gran parte degli investitori istituzionali.
In Europa, dove i finanziamenti sono inferiori, la prerogativa della startup non è tanto quella di una rapida crescita, quanto quella di generare il prima possibile ricavi che le consentano di sopravvivere. Lo strumento prediletto è dunque quello più snello della società a responsabilità limitata, nelle varie declinazioni esistenti nei diversi ordinamenti giuridici continentali.
In Italia, in particolare, la società a responsabilità limitata, cd. S.r.l., offre una struttura agile per la gestione di una impresa neocostituita. I tratti caratterizzanti sono: costi ridotti, assenza di collegio sindacale, amministrazione modulabile (amministratore unico, consiglio di amministrazione, congiuntiva, disgiuntiva) ed un’autonomia patrimoniale perfetta. Quest’ultima, in particolare, garantisce ai soci la limitazione di responsabilità per i debiti sociali, con la conseguenza dell’abbattimento del rischio economico, anche in caso di fallimento o di chiusura della società, ipotesi piuttosto ricorrenti nell’ambito delle startup.
Il capitale sociale, inoltre, è di ammontare ridotto, pari a 10.000 euro, che, nella forma semplificata (S.r.l.s.), può scendere fino ad un minimo di 1 euro. Ai soci, inoltre, possono essere riconosciuti diritti diversi, sia dal punto di vista amministrativo, sia patrimoniale.
Tale modello consente di accedere al regime privilegiato delle startup innovative (D.L. n. 179/2012), ossia quelle società di capitali che hanno come oggetto sociale, esclusivo o prevalente, “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto contenuto tecnologico”.
Nell’ottica di favorire lo sviluppo di società operanti nel settore dell’innovazione, il Legislatore italiano ha infatti voluto introdurre una normativa particolarmente favorevole che, tradendo ispirazione dagli ordinamenti anglosassoni, è stata definita Start up Act italiano.
Tale corpus di norme si inserisce in una più ampia strategia olistica, volta a facilitare la nascita e la crescita di nuove imprese innovative. In particolare, l’obiettivo perseguito è quello di favorire la nascita e lo sviluppo di un intero ecosistema in cui startup, investitori, incubatori e università possano collaborare e relazionarsi, contribuendo così alla nascita di un fitto network di relazioni, utili a sostenere le iniziative imprenditoriali in ambito innovativo per la durata di tutto il loro ciclo vitale, dalla nascita fino all’autosufficienza e all’eventuale (e sperata) exit.
Nel concreto, il D.L. 179/2012 introduce una disciplina di favore per le c.d. “Start-Up Innovative”, ossia per quelle imprese dotate di una serie di requisiti, sia in positivo che in negativo, necessari perché la medesima possa fregiarsi di tale denominazione e godere dei conseguenti benefici.
In particolare, la società:
– deve essere nuova o comunque non costituita da più di cinque anni;
– deve avere sede in Italia o in altro Paese UE (purché abbia la sede produttiva, o quanto meno una sua filiale, in Italia);
– deve avere un fatturato annuo non superiore a 5 milioni di euro;
– non deve essere quotata su alcun mercato regolamentato o su di una piattaforma multilaterale di negoziazione;
– non deve distribuire utili;
– non deve essere il risultato di una fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda;
– deve avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente l’innovazione tecnologica.
Oltre a possedere tali qualità, l’impresa deve altresì rispettare almeno uno dei seguenti presupposti:
1) aver sostenuto spese in ricerca, sviluppo e innovazione pari ad almeno il 15% del maggiore valore tra fatturato e costo della produzione;
2) impiegare personale altamente qualificato. Tale requisito risulta assolto quando almeno 1/3 della propria forza lavoro è composta da dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori, o, in alternativa, qualora almeno 2/3 del personale impiegato abbia un titolo di laurea;
3) essere titolare, depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a un’invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale, ovvero titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore (c.d. “Software registrato”).
In caso di sussistenza delle prerogative necessarie, all’impresa viene data la possibilità di iscriversi nel registro speciale tenuto dalla Camera di Commercio. Sarà quest’ultima ad occuparsi della verifica del rispetto e del mantenimento nel tempo dei requisiti previsti dalla legge.
La qualifica di Startup innovativa, in ogni caso, può durare per un massimo di 5 anni, lasso di tempo ritenuto congruo dal legislatore perché un’impresa si consolidi e possa autonomamente provvedere al proprio sostentamento.
Sul fronte dei benefici a cui può accedere una startup innovativa, essi sono riconducibili à tre macro-aree: agevolazioni fiscali e societarie, agevolazioni finanziarie e agevolazioni giuslavoristiche.
Con riferimento alle agevolazioni fiscali e societarie, le agevolazioni previste sono:
1) esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria generalmente richiesti per gli adempimenti da effettuare presso il Registro delle Imprese nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle Camere di Commercio [1];
2) detrazione del 30% dall’imposta e deduzione del 30% dalla base imponibile per i soggetti Irpef o Ires che investono in startup innovative [2];
3) deroga al regime di “omnicomprensività”, secondo il quale tutte le somme ed i valori percepiti in conseguenza del rapporto di lavoro costituiscono reddito (art. 51 TUIR). Tale deroga opera in favore di dipendenti, collaboratori continuativi e amministratori di startup innovative e prevede che gli strumenti finanziari – quali azioni, quote diritti di opzione, strumenti finanziari partecipativi, etc. – non concorrano a formare il reddito imponibile. Tale esenzione opera sia a fini fiscali, sia ai fini contributivi;
4) innalzamento da € 15.000,00 a € 50.000,00 della soglia oltre la quale scatta l’obbligo del visto di conformità per la compensazione orizzontale dei crediti IVA;
5) inapplicabilità della disciplina delle società di comodo, pertanto, in caso di ricavi “non congrui” rispetto alla struttura patrimoniale, o in caso di perdita fiscale sistematica, non operano le penalizzazioni fiscali previste per le c.d. società di comodo. (L. 724/94, art. 30 e D.L. 138/2011, art. 2);
6) cedibilità delle perdite fiscali della società a società quotate che detengano almeno il 20% del capitale della startup [3];
7) misure agevolative per la copertura delle perdite civilistiche, quali la possibilità di rientrare della perdita di oltre un terzo del proprio capitale sociale entro il secondo esercizio successivo (contrariamente a quanto previsto dalla normativa generale che impone l’obbligo di riduzione della perdita entro l’esercizio successivo) e la possibilità di rimandare alla chiusura dell’esercizio un’eventuale delibera di riduzione del capitale in caso di riduzione dello stesso al di sotto del minimo legale;
8) non assoggettabilità alla disciplina delle procedure concorsuali tradizionali previste dal D.L. 267/1942; per esse trovano applicazioni le più miti e snelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, di cui alla L. 3/2012 Capo II.
Per quanto attiene alle agevolazioni finanziarie, il Legislatore, conscio del fatto che l’accesso al credito per le startup rappresenta spesso la principale difficoltà con cui fare i conti, ha introdotto la possibilità di accedere al Fondo Centrale di Garanzia per le PMI a condizioni molto vantaggiose [4].
Il terzo tipo di aiuti riguarda invece le c.d. agevolazioni giuslavoristiche, nell’ambito delle quali, a parziale deroga della normativa generale in materia di contratti di lavoro, il Legislatore ha previsto che, entro il limite di durata massima pari 24 mesi, possono essere stipulati più contratti a tempo determinato senza che sia necessario rispettare gli intervalli temporali previsti dalla legge. Tale termine, inoltre, è estensibile per un ulteriore periodo di 12 mesi, purché i contratti vengano stipulati al cospetto dell’Ispettorato territoriale del lavoro competente.
A tali misure, inoltre, si affiancano:
– la deroga all’obbligo di rispettare i limiti quantitativi previsti per i contratti a tempo determinato;
– con riferimento ai contratti collettivi, la facoltà di determinare i minimi tabellari specifici per la promozione dell’avvio dell’attività e la possibilità di introdurre criteri specifici e differenti per la determinazione della parte variabile.
Infine, è riconosciuta la possibilità di introdurre disposizioni per adattare le regole di gestione del rapporto di lavoro alle specifiche esigenze della startup innovativa al fine di favorirne l’inserimento nella realtà produttiva circostante.
Sul fronte del procedimento di costituzione, con rammarico, si segnala, invece, una brusca battuta di arresto sul fronte dell’innovazione ed un deleterio ritorno al passato.
Nel 2015 il Legislatore italiano aveva finalmente proceduto, in linea con quanto in precedenza avvenuto all’estero ed a sostegno di una maggiore competitività delle società nostrane in ambito internazionale, ad una sburocratizzazione del procedimento di costituzione delle startup innovative. In particolare, con il Decreto “Investment compact” [5], era stata introdotta la possibilità di costituire una startup innovativa tramite una procedura semplificata, eseguibile interamente online con firma digitale e senza l’intervento della figura del notaio. Purtroppo, con la sentenza n. 2643 del 29.03.2021, il Consiglio di Stato, ha eliminato tale facoltà, azzerando così uno dei capisaldi dell’agognato processo di modernizzazione e digitalizzazione del sistema italiano. Con tale pronuncia la Consulta, accogliendo una serie di contestazioni sollevate dal Consiglio nazionale del Notariato, ha riallineato il procedimento di costituzione delle startup innovative a quello di tutte le altre società di capitali, reintroducendo, pertanto, la necessità dell’intervento del notaio. Purtroppo, un ennesimo esempio di incapacità del paese di abbandonare le logiche del corporativismo e di aprirsi alla modernità.
Concludendo, pur apprezzando l’impegno del Legislatore nell’adozione di un modello societario che contribuisca alla nascita ed alla crescita di imprese operanti nel settore dell’innovazione, non può sottacersi che i risultati sono ancora insufficienti e lontani dagli obiettivi di adeguamento ai modelli internazionali di maggiore successo.
Il numero delle startup che animano il nostro sistema paese, seppur in crescita, è ancora significativamente inferiore non solo a quello che risiede oltreoceano, ma anche a quello di numerosi paesi del vecchio continente.
Ciò perché il nostro ordinamento risulta tuttora carente di tutta una serie di strumenti che permetterebbero uno sviluppo florido del settore. Le principali frizioni che permangono e si frappongono alla diffusione delle startup sono insite nell’inefficienza del sistema giudiziario, nell’eccessiva burocrazia, nell’insufficienza di strumenti di finanza agevolata, nei limiti insiti in alcune norme di diritto societario, inadeguate alle nuove realtà ed esigenze che vanno man mano delineandosi. Se da un lato è dunque certamente auspicabile un intervento pubblico riorganizzativo dell’intera filiera, questo da solo non è sufficiente. È il sistema paese in generale che deve cambiare mentalità per consentire alle startup italiane di svilupparsi, in numero e qualità, e competere sullo scenario internazionale.
Come ultima riflessione, a parere di chi scrive, sarebbe auspicabile che, perché i futuri interventi normativi riescano nel loro lodevole intento di dare impulso e sviluppare l’intero comparto nonché renderlo competitivo con quello degli altri paesi, il Legislatore tenesse sempre a mente che occorre dotare la sostanza di una forma che sia in grado di farle esprimere tutte le sue potenzialità!
Dal canto loro, gli startupper dovranno comprendere che sostanza e forma sono presupposti complementari e indissolubilmente connessi, dalla cui compresenza non può prescindere alcun progetto imprenditoriale di successo.
Contributo a cura di:
Elena Garda
Avvocato presso Militerni Law Firm
Matteo Ettore Panizza
Dottore presso Militerni Law Firm
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[1] Sul punto è intervenuta la circolare n. 4/2016 dell’Agenzia delle Entrate che ha specificato che l’esonero dal versamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria riguarda ogni atto posto in essere dalla Start-up innovativa fatti salvi i diritti dovuti per la bollatura dei libri sociali (così come specificato dalla Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 253/2019).
[2] Con i Decreto Rilancio (D.L. 30/2020, art. 38, c. VII) è stata introdotta la previsione, in favore dei soli soggetti Irpef, di un’agevolazione alternativa a quella ordinaria pari al 50% delle somme investite.
[3] Tale agevolazione è prevista sia per le start-up innovative che per quelle non innovative, fatto salvo che non abbiano come attività prevalente quella immobiliare.
[4] Il fondo fornisce una garanzia diretta sui finanziamenti bancari che copre fino all’80% dell’importo massimo garantibile di € 2.500.000,00. La procedura per il rilascio di tale garanzia, qualora a richiederla sia una Start-up innovativa, è gratuita, prioritaria e semplificata. La garanzia, infatti, viene concessa senza che sia necessario procedere con una valutazione dei dati contabili di bilancio dell’impresa: sarà direttamente la banca a valutare il merito di credito della start-up prendendo in considerazione diversi aspetti, tra cui la scalabilità del progetto, il rapporto tra capitale sociale e finanziamento richiesto, il profilo dei soci, etc. Inoltre, sulla parte di finanziamento coperto dal Fondo, la banca non può acquisire alcuna garanzia reale, assicurativa o bancaria, tuttavia, potrebbe chiedere il rilascio di garanzie fideiussorie.
[5] D.L. 3/2015, art. 4, comma 10-bis, successivamente attuato dai Decreti Ministeriali del 17 febbraio 2016 e 1° luglio 2017 del Ministero dello sviluppo Economico.